Il calcio non è solo un gioco: “il calcio è una metafora
della vita” (Jean Paul Sartre).
Ogni singola
partita (quella del calcio per eccellenza), è unica ed irripetibile, così come
la vita che sa tanto del “Si vive una volta sola”. Ci sono calci a palla che
lasciano il segno, quelli che rompono il vetro della finestra e quelli che
sanno di storici gol. Ci sono giocatori indimenticabili. Ci sono gol che come
gli amori, cambiano le mete, ci fanno sentire in estasi o nel fango, in base al
momento. Ogni partita potrebbe essere l’inizio di una nuova storia.
Dura ’90,
ma è all’ultimo che le carte in tavola possono cambiare. Basta un attimo e la
vita può diventare eterna. Il calcio, dunque, è l’espressione per eccellenza
della speranza. Speranza di riuscita, di rinascita, di vittoria. Anche qui “la
speranza è l’ultima a morire”. È un continuo cadere e rialzarsi, insieme.
L’unione fa la forza. La solitudine non esiste. Da qui, la squadra come la
parte più importante del singolo atleta. L’altro (il nemico che diventa
avversario seguendo le regole della democrazia) è essenziale affinché si vinca.
Da qui è gioco sociale, vita sociale, relazione. Entrano in campo ora un
giocatore, ora un altro. Poi, si invecchia. È un continuo dinamismo, ma statico
nella sua natura. È evoluzione: si tirano i primi calci nell’oratorio, o per le
strade, prima ancora si scalcia nella pancia della mamma. È fine, è un segno.
Il calcio. Il calcio è vita. È estasi e morte insieme. Si vive con il “saper di
poter perdere”; non è presunzione, ma qui umiltà. Semplicemente si vive. Il
calcio è scelta. Scelta di amori, di sfide, di stile. Il calcio è sacrificio. L’atleta
segue le regole, ponderando desiderio e ragione. È equilibrio. È pulsione e
resistenza. In una parola è vita. Il calcio non è solo un gioco. La morale è
nel pallone. Con questo si gioca. Con la vita viviamo. È proprietà ed
estraniazione insieme. La mia vita non è solo mia. Non sono padrone della mia
nascita. Può andare dove non volevamo che andasse, il pallone… la vita. E come
direbbe Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di
calcio”. D’ora in poi non si parla solo di calcio, ma di calciosofia. E la calciosofia
non è una malattia.
CRISTINA LONGO
CRISTINA LONGO
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